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Le tuniche di pelle

La questionne del FILIOQUE sotto une nuova prospettiva teologica

Chiesa, Comunione e Mondo

Le tuniche di pelle

Panayotis Nellas, Voi siette Dei, antropologia dei padri della chiesa, Roma 1993, ed. Citt à Nuova , p. 56- 64.

Abbiamo detto che la nostra indagine vuoi chiarire da una parte l'origine, la struttura e la finalità dell'uomo, in una parola la sua natura, e, dall'altra, fissare una base fondandosi sulla qua­le, la teologia ortodossa possa aiutare efficacemente il mondo contemporaneo.

Quanto è stato finora detto sul contenuto dell'espressione «a immagine» risponde al primo punto: indica cioè la condizione dell'uomo conforme alla sua natura. Tuttavia, non può conside­rarsi come risposta soddisfacente, perché, come l'esperienza di­mostra, la realtà storica dell'uomo differisce da quella che noi abbiamo ipotizzato determinarsi con l'espressione «a immagine». Dal punto di vista cristiano, ciò si deve al fatto che la realtà storica si evolve da una condizione contraria alla natura, in cui venne a trovarsi l'uomo in seguito alla sua caduta. Resta quindi da esaminare questa condizione.

Anche quanto è stato finora detto riguardo al secondo pun­to può in parte aiutare l'uomo, perché chiarifica positivamente e avvalora nel loro nucleo centrale le ricerche fondamentali dell'uomo d'oggi circa la conoscenza, lo sviluppo, la giustizia, la libertà, ecc, intese come ricerche della natura iconica. Tuttavia, anche qui l'esperienza dimostra che l'umanità stenta a trovare oggi quel che cerca. Per la concezione cristiana, ciò non è dovu­to al fatto che le manchi la capacità d'indagare o che, quel che cerca, non le appartenga, ma al fatto che la sua ricerca prende avvio da un presupposto sbagliato e si muove in direzione sba­gliata. L'avvio sbagliato consiste nel non aver preso coscienza della condizione contraria alla natura dell'uomo in cui ci troviamo; quanto alla direzione sbagliata, essa consiste nel voler cerca­re qualcosa di conforme alla nostra natura in ciò che in verità le è contrario. L'uomo potrà acquisire i beni naturali che gli si ad­dicono solo se li cercherà nella loro fonte reale e se, per trovarli, egli si muoverà sfruttando adeguatamente le sue potenzialità naturali.

Sia per spiegare la condizione in cui venne a trovarsi l'uomo dopo la sua caduta, sia per instaurare, in questa condizione con­traria alla sua natura, il secondo pilastro di quel ponte che, aven­do come primo pilastro l'espressione «a immagine», permette­rebbe all'uomo di sopravvivere nella condizione in cui attual­mente si trova, di far ritorno alla condizione di «immagine» e, perfezionando lo slancio di quest'ultima condizione, di raggiun­gere l'immagine stessa, i Padri svilupparono la loro fondamenta­le teoria concernente le «tuniche di pelle». Con ciò essi non fece­ro che sviluppare la seconda delle due componenti biblico-patristiche della rivelazione, e cioè che, dopo la caduta degli antenati, in virtù della Sua misericordia Dio «fece all'uomo e alla donna tuniche di pelle e li vestì» (Gn 3, 21), affinchè essi potessero so­pravvivere. È chiaro che, per completare la nostra indagine, occorre esaminare da vicino anche questa dottrina dei Padri (1) .

 

Il significato antropologico

Anzitutto bisogna sottolineare che, come mostra chiara­mente la narrazione biblica della Genesi, le tuniche di pelle furo­no aggiunte all'uomo in seguito alla sua caduta, e che esse non si presentano come elemento costitutivo naturale dell'uomo (2) . Ciò che l'osservazione empirica considera «conforme alla natura» dell'uomo, per l'insegnamento biblico-patristico è una condizio­ne posteriore, successiva alla sua caduta: non l'iniziale e, quindi, la sua vera natura. «È conforme alla natura dell'uomo quella vita che è conforme alla natura divina» (3) . Se l'uomo contemporaneo vuole cogliere appieno la sua esistenza, gli elementi buoni e an­che quelli cattivi che lo affliggono, egli è chiamato ad ampliare i suoi orizzonti, a chiedersi se per caso quel che egli considera «naturale» non sia poi tanto scontato. E occorre manifestare una certa soddisfazione per il fatto che, in questi ultimi tempi, il quesito di cui parliamo comincia a rientrare negli interessi della scienza antropologica (4) . Ad ogni modo, per chi voglia muoversi entro l'ambito dell'antropologia biblico-patristica ortodossa, questa puntualizzazione ha un significato determinante, che bi­sogna tenere sempre in mente.

Il secondo punto che fin da ora bisogna chiarire è questo: non il corpo umano costituisce le tuniche di pelle. I Padri si trova­rono ben presto nella necessità di ribadirlo (5) per confutare le eresie degli gnostici (6) , degradanti per il corpo umano. Non c'è da stupirsi se Origene, condizionato dalla sua erronea concezione della preesistenza delle anime, si pose il quesito se l'espres­sione della Scrittura «tuniche di pelle» potesse intendersi in rela­zione al corpo oppure no (7) . Anche di fronte a questo dilem­ma, i Padri esercitarono una dura critica (8) , significativa del loro impegno per sottolineare non solo il valore positivo del cor­po ma anche la verità cristiana centrale secondo cui, a «compor­re» l'uomo «conforme alla sua natura» è il corpo insieme con l'anima. «Si dice veramente uomo conforme alla sua natura non in quanto anima senza corpo né tanto meno corpo senza anima, ma ciò che è composto da corpo e anima nell'unica manifesta­zione del bene» (9) . Per la tradizione patristica, questa verità è fondamentale e indiscutibile. Per cui possiamo esimerci dall'insistere nella sua analisi e nella sua dimostrazione.

Che cosa sono, allora, le tuniche di pelle? Sopra abbiamo fat­to menzione di un'importante dottrina dei Padri relativa a que­sto argomento. L''insegnamento dei Padri è davvero importante; pur tuttavia, esso non è formulato in modo matematico: come hanno usato l'espressione «a immagine» per esprimere la realtà della natura conforme all'uomo, senza formulare intorno a que­sta verità una teoria, nello stesso modo i Padri hanno fatto fre­quente ricorso al concetto delle «tuniche di pelle» per descrivere interpretare la condizione in cui l'uomo venne a trovarsi suc­cessivamente alla sua caduta. In questo modo essi formularono molte verità concernenti le «tuniche di pelle» e fecero molteplici impieghi del termine.

Un primo punto, su cui concordano tutti questi impieghi, è che le tuniche di pelle esprimono la condizione mortale, che l'uo­mo rivestì a guisa di seconda natura dopo la sua caduta. «(Dio) fece le tuniche di pelli per avvolgerlo (l'uomo) nella condizione mortale» (Metodio di Olimpo) (10) . Mentre prima della sua caduta l'uomo «non aveva vestiti fatti con pelli morte» (11) , in seguito egli «si coprì di pelli morte» (Gregorio di Nissa) (12) . «La condizione mortale, pertanto, per analogia con la natura degli esseri irrazio­nali, fu conferita secondo il piano della provvidenza alla natura creata per l'immortalità» (Gregorio di Nissa) (13) .

In questi brani, come pure in alcuni altri che tralasciamo (14) , è significativo il fatto che non si parli di morte ma di condizione mortale: e cioè di una condizione nuova in cui l'uomo venne a trovarsi, di una «vita in morte» (15) . Il cambiamento è grande: si tratta di un capovolgimento totale delle realtà. Contrariamente al suo stato precedente, l'uomo non trova nella vita il suo ele­mento costitutivo, egli non esiste in virtù della vita che emana naturalmente da sé, ma, piuttosto, egli esiste fin tanto che rinvia la morte. Quel che ora principalmente esiste è la morte: la vita è stata trasformata in sopravvivenza.

In una sua ispirata teoria «Sulla disobbedienza di Adamo», san Massimo il Confessore vede il primogenito impegnato a creare artificiosamente su di sé la proprietà di Dio, creare dentro di sé in modo autonomo «senza Dio e al cospetto di Dio e non secondo Dio» ciò che è caratteristica peculiare di Dio: la vita in sé. Così, Adamo abbandonò il nutrimento divino (16) , che si addiceva alla sua natura, e, per costruire autonomamente la sua vita, preferì come nutrimento il frutto dell'albero proibito, che, però, egli conosceva già come frutto di morte, e cioè frutto del continuo fluire, mutare, alienarsi. In questo modo, compatibil­mente con il nutrimento, egli rese la sua vita corruttibile: rese viva dentro di sé la morte. Che, spiega questo venerabile Padre, Poiché la morte appare come corruzione di ciò che di volta in volta è creato; e poiché ogni realtà creata si corrompe in modo naturale mediante l'ingestione e la digestione degli alimenti: ne consegue cio mediante cui Adamo credette fosse creata la vita, esso stesso generò dentro di lui e dentro di noi la morte, e la mantiene florida a tutt'oggi. Fu così che Adamo offrì la natura intera in pasto alla morte. «E mentre da allora la morte vive cibandosi di noi, noi invece non viviamo mai, in quanto perennemente divorati da lei mediante la corruzione» (17) . Perciò un po'piu avanti lo stesso Padre sostiene che «la fine di questa vita non tort, ma liberazione dalla morte» (18) .

La condizione mortale, quindi, la privazione di vita, che le anime sensibili di ogni epoca concepiscono come qualcosa di insficante, questa vita «liquida e fluida» (19) o «congelata» (20) , è la prime dimensione delle tuniche di pelle.

La condizione mortale, nei termini sopra stabilita, è caratteristica propria della natura degli esseri irrazionali. Il fatto quindi « che l'uomo indossò la condizione mortale, null'altro significa che egli idossò la natura degli esseri irrazionali, e che, quindi, l'uomo vive di conseguenza in conformità con quella vita ed è carat­terizzato dalle proprietà di essa. San Gregorio di Nissa parla di quel ‘mantello inerte e bruto che ci fu gettato addosso e che era fatto con pelli di animali irrazionali'. E spiega «Quanto sento parlare di pelli mi viene da pensare all'impronta della natura irrazionale che assumemmo quando ci unimmo alle passioni». E, con maggior chiarezza, precisa: «Ciò che abbiamo ricevuto dalla pelle degli animali irrazionali è rappresentato dagli accoppiamenti, dai conepimenti, dai parti, dalla sporcizia, dall'allattamento, dal nutrimento, dall'eliminazione degli escrementi, dalla crescita graduale, dalla giovinezza, dalla vecchiaia, dalle malattie, dalla morte» (21) : in altri termini, da tutto ciò che oggi siamo soliti chiamare vita biologica.

Sarebbe errato ritenere che in questo testo si parli esclusivamente del corpo, che il discorso sulle tuniche di pelle si esaurisca in relazione con il corpo. Gli «accoppiamenti», il ‘concepimento', l ' «alla ttamento» come pure tutte le altre tappe successive dello sviluppo graduale dell'uomo non si esauriscono nelle sue attinit à corporali, ma implicano anche le funzioni e operazioni dell'anima, le quali pure si vestono della «impronta della natura irrazionale» - è significativo il fatto che egli non parli di corpo irrazionale -, perdono la loro libertà e razionalità e decadono in istinti. L'intero organismo psicosomatico dell'uomo subì, con la caduta, una specie di blocco, fu imprigionato entro le caratteri­stiche dell'«impronta della natura irrazionale».

Conseguenza di questo imprigionamento è la vita irrazionale o contro ragione. Le caratteristiche divine e gli impulsi della con­dizione «a immagine» fuorviarono dalla loro direzione e funzio­nalità naturali, che andavano in armonia con la loro ragione conforme, si alterarono, si sottoposero alla natura degli esseri ir­razionali e, così, le proprietà di quest'ultima vestirono a mo' di tuniche irrazionali l'uomo. «Con il coraggio, infatti - scrive san Gregorio -, i carnivori perseverano nella vita, l'amore del piacere salva le molte nascite degli animali, la timidità protegge coloro che sono senza forza, la paura quelli che sono facile preda dei più forti e la voracità protegge gli animali di grande corpo». Tutte queste cose e altre «si sono introdotte nella costituzione dell'uomo attraverso la generazione animale» (22) . Così, «le proprietà della natura degli esseri irrazionali si mescolarono con l'uomo» (23) . Più avanti vedremo in modo più particolare come è potuta avvenire questa commistione dell'uomo con le proprietà della natura degli esseri irrazionali, che nell'uomo si manifestano a mo' di passio­ni (24) . Per il momento ci limitiamo a segnalare che questa com­mistione è una componente delle tuniche di pelle.

Ma la vita cui le tuniche di pelle costringono l'uomo è una vita inerte o biologica o irrazionale perché, in ultima analisi, è una vita materiale. Presso san Gregorio di Nissa, le tuniche di pelli s'identificano con «le foglie temporanee di questa vita mate­riale, con cui, denudati delle vesti luminose e proprie, ci siamo malamente rivestiti» (25). Questa materializzazione abbraccia l'inte­ro organismo psicosomatico dell'uomo: non si riferisce quindivale la pena ribadirlo - esclusivamente al corpo. Nel prosieguo del summenzionato brano, san Gregorio paragona «le foglie del­la vita materiale» con «la superbia, la gloria e gli onori effimeri e le informazioni di breve durata della carne» (26) e, altrove, con «il piacere e l'ira e la golosità e l'insaziabilità e altre cose consimili» (27) . Gloria, onore, ira: non si può certo dire che trattasi di caratteristiche del corpo (28) .

Il corpo si è certamente rivestito delle tuniche di pelle, è di­ventato «grasso e duro» (29) , è caratterizzato «da questa grassa e pe­sante sua costituzione» (30) ; ma nella risurrezione, quando ritor­nerà perfezionata la sua natura anteriore alla caduta, esso sarà «di nuovo tessuto di qualcosa di più sottile ed etereo», sarà restituito nella condizione «di una migliore e più amabile bellezza» (31) .

Ma, insieme con le funzioni corporee, anche quelle psichiche si trasformeranno in «corporee» (32) . Secondo san Grego­rio di Nissa, esse costituiscono insieme con il corpo «l'involucro del cuore... l'involucro corporeo del vecchio uomo» (33) . «E quando io dico carne», precisa il Nisseno con maggior acribia, «io intendo l'uomo vecchio, di cui il divino Apostolo ci esorta a spogliarci e che dobbiamo deporre» (34) , e cioè quell'uomo che l'Apostolo definisce «carnale» o «naturale», in contrapposizione con l'uomo «spirituale» (35) . Concordemente con questa puntualizzazione di Gregorio di Nissa, le tuniche di pelle sono «i pensieri carnali» (36) .

Trattasi quindi di una totale congiunzione dell'uomo con la materialità, con l'eterno flusso degli elementi che compongono il mondo materiale, il continuo movimento e mutazione, che rende l'uomo passivo e, nella sua totalità, «carnale». Così comprendia­mo per quale motivo, per il vescovo di Nissa, in questa carnalità biologica, irrazionale e materiale, gli «onori» che incontra l'uo­mo sono irrimediabilmente effimeri, e per quale motivo le «informazioni», vale a dire i fondamenti, le certezze della carne, sono «di breve durata», vale a dire mortali e, per ciò stesso, portatrici di morte.

Prima che fosse rivestito delle tuniche di pelle, l'uomo in­dossava un abito «divinamente tessuto» (37) . Il suo vestito psicoso­matico era tessuto con la grazia, la luce e la gloria di Dio. I pro­genitori «erano rivestiti della gloria dall'alto... la gloria dall'alto rivestiva loro meglio di qualsiasi altro abito» (38) . Trattasi dell'abito della condizione di «immagine», della natura umana anteriore alla caduta, consolidata con l'alito di Dio e divinamente struttu­rata. Quell'abito risplendeva «della somiglianzà con il divino», costituita non da una «forma» o «colore», ma dalla impassibilità (apatheia), dalla beatitudine e dall'incorruttibilità: e cioè dalle caratteristiche tramite cui «si rivela lo splendore divino» (39) .

Come dice molto significativamente san Gregorio il Teolo­go, il progenitore era «nudo nella semplicità» (40) . Secondo l'interpretazione di san Massimo il Confessore, ciò che significa che il suo corpo non racchiudeva «qualità fra sé opposte», che, trasci­nandolo in diverse direzioni, lo fustigano con la corruzione e lo corrompono, ma una «diversa e opportuna mescolanza... composta di qualità semplici e non contraddittorie». Il corpo umano era «alieno di flusso e di deflusso», libero dal «dominio della continua alterazione, caratteristica di entrambe queste condizio­ni», e, per ciò stesso, non era impartecipe «dell'immortalità se­condo la grazia» (41) . Se volessimo intendere la «nudità» alla stre­gua di «trasparenza», potremmo dire che il corpo di Adamo era a tal punto semplice, da risultare nella realtà «diafano», aperto al mondo materiale, senza presentare alcuna opposizione ad esso. Né il mondo materiale si opponeva in alcun modo al corpo uma­no: gli era totalmente donato. Pur conservando, in relazione con il mondo, la propria costituzione e diversità, il corpo umano non si trovava, nella realtà, in alcuna distanza da quello.

Anche l'anima dell'uomo era aperta verso le potenze angeliche e verso Dio, senza presentare la benché minima opposizione: l'anima comunicava agevolmente sia con il mondo spirituale e angelico, sia con lo Spirito di Dio. In quei tempi - dice il venera­bile vescovo di Nissa -, c'era un uniforme accordo tra la natura i razionale, quella angelica e quella umana, «che mirava verso il Corifeo di questo accordo e verso l'armonia che ne emanava». Ma venne il peccato a «dissolvere quel divino accordo», a porre j sotto i piedi dei primi uomini, «che comunicavano con le poten­ze angeliche», lo sdrucciolio dell'inganno. E l'uomo cadde. Si mescolò con il fango, si autoproiettò verso il serpente, indossò le pelli morte. E divenne «cadavere». Così, «venne a interrompersi la congiunzione dell'uomo con gli angeli» (42) . E, in modo analogo, si spezzò anche il legame che teneva unito l'uomo con il mondo creato.

Siamo così giunti a un secondo punto della nostra indagine: vedere cioè in modo più analitico come si è potuta verificare la summenzionata disgiunzione e la corrispettiva congiunzione dell'uomo con la «natura degli esseri irrazionali»; esaminare cioè in modo più concreto come il beatamente tessuto abito divino, che l'uomo indossava prima della sua caduta, si trasformò in tuni­che di pelli. In tal modo saranno forse chiariti alcuni punti del nostro quesito iniziale, e cioè qual è il reale contenuto antropolo­gico delle «tuniche di pelle».

 

NOTES

(1) Da quanto ci è dato di sapere, non è stato fino ad oggi studiato nel suo insieme il rapporto esistente tra le tuniche di pelle e l'insegnamento patristica Si vedano pertanto alcuni studi di carattere più particolare: E. Stephanou, La coexistence initiale du corps et de l'âme d'après saint Gregoire de Nysse et saint Maxime l'Homologète, in «Echos d'Orient», 31 (1932), pp. 304-315; J.W. Mc-Garry, St. Gregory of Nyssa and Adam's Body, in «Thought», 10 (1935-36), pp. 81-94; J. Quasten, A Pythagorean idea in Jerome, in «American Journal of Phi-lology» 73/2 (1942), pp. 207-215; J. Quasten, Theodore of Mopsuestia on thè Exorcism of the Cilicium, in «The Harvard Theological Review», 35 (1942), pp. 209-219; E. Peterson, Pour une théologie du vêtement, Lyon 1944; W. Burkhardt, Cyril of Alexandria on Wool and Linen, in «Traditio», 2 (1944), pp. 484-486; J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique. Essais sur la doctrine spirituelle de saint Gregoire de Nysse, Paris 1953 2 , pp. 48-60; G. Ladner, The Philosophical Anthropology of saint Gregory of Nyssa in «Dumbarton Oaks Papers», 12 (1958), pp. 59-94, specialm. pp. 88-89; I. Moutsoulas, L'incarnazione del Logos e la divinizzazione dell'uomo secondo l'insegnamento di Gregorio di Nissa [in greco], Atene 1965, pp. 87-96; L. Thunberg, Microcosm and Mediator. The Theological Anthropology of Maximus the Confessor, Luna 1965, pp. 159-164; J. Daniélou, Les tuniques depeau chez Gregoire de Nysse, in Glaube Geist Geschichte. Festschrift fùr Ernst Benz, Leiden 1967, pp. 355-367; K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenerazione [in greco], Atene 1973, pp. 61-68; M. Orfanos, L'anima e il corpo dell'uomo secondo Didi­mo di Alessandria (il Cieco) [in greco], Salonicco 1974, pp. 94-102; A. Rantosalievic, II mistero della salvezza secondo Massimo il Confessore [in greco], Ate­ne 1975, pp. 59-60; Ch. Bernard, Théologie Symbolique, Paris 1978, pp. 207-210. Qui non affrontiamo il problema come lo hanno affrontato i filosofi non cristiani: alcuni riferimenti ad essi, come pure al rapporto esistente con l'inse­gnamento patristico, si possono trovare nella bibliografia suindicata.

(2) Gn 2, 25 - 3, 24; cf. Gregorio di Nissa, Catechesi, 8 PG 45, 33C ; Id., La preghiera, 5, PG 44, 1184B: il significato di questo avvenimento lo spiega J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, pp. 58-59.

(3) Gregorio di Nissa, Omelia sull'Ecclesiaste, 1, PG 44, 624B [trad. S. Leanza ].

(4) Cf. H.F. Ellenberger , À la découverte de l'inconscient, Villeurbanne 1974; CI. Tresmontant , Sciences de l'univers et problèmes métaphysiques, Paris 1976; si veda anche sopra , nota 23.

(5) Cf. ad esempio Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione 1, 39 (BEPES 18, 129): «Torniamo quindi alla nostra trattazione, una volta sufficientemente dimostrato che le tuniche di pelle non sono i (nostri) corpi».

(6) Vedi Lessico. Cf. J. Daniélou, Les tuniques de peau chez Gregoire de Nysse, he. cit., p. 355; K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenerazione, p. 62; M. Orfanos, L'anima e il corpo dell'uomo secondo Didimo di Alessandria, p. 94 no­ta 1, dove trovatisi anche rinvii bibliografici.

(7) Cf. nota (5). Origene, Omelie sulla Genesi, 3, 2, PG 12, 101A: «Che bisogna inten­dere con l'espressione "tuniche di pelle"? Sostenere che Dio, dopo aver tolto la pelle da alcuni animali... si mise a fare delle tuniche ... come se fosse lavo­ratore di cuoio, è da stolti e rimbambiti, perché si afferma una cosa che non si addice a Dio. Identificare poi le tuniche di pelle con i corpi, questa interpretazione è più probabile e suggestiva, ma non può considerarsi né veritiera né certa: se infatti le tuniche di pelle corrispondono con la carne e con le ossa, come ha fatto allora Adamo a dire, prima ancora che esse esistessero: "Questa Èva, sì, è osso delle mie ossa e carne della mia carne"?» [trad. I. Danieli].

(8) Cf. nota (5). Cf. Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 1,39 (BEPES 18, p. 129: lo stesso testo si trova anche in Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 23, pQ 41, 1105C ); Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 4, PG 41, 1077; Girolamo, Contra ]ohannem Hierosolymitanum, 7, PL 23, 360BC. Ulteriori informazioni in A. Guillaumont, Les «Kephalaia gnostica» d'Évagre le Pontique et l'histoire de l'Origénisme chez les Grecs et chez les Syriens (Patristica Sorbonensia), Paris 1962, pp. 89-90: tutti questi Padri attribuiscono a Origene l'errata opinione secondo cui le tuniche di pelle corrisponderebbero con il corpo: «Egli dice che l'espressione "il Signore fece per loro (Adamo ed Èva) delle tuniche di pelle e li rivestì" si riferisce al corpo» (Epifanio, PG 41, 1077B). Tuttavia, essi (cf. ad es. Metodio, BEPES 18, 129) utilizzano l'argomentazione che per pri­mo ha formulato Origene («Questa Èva, sì, è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne: cf. sopra, nota 66) e formulano la teoria, anch'essa risalente a Origene, secondo cui le tuniche di pelle sono la condizione mortale instauratasi dopo la caduta (ne daremo indicazioni più precise in seguito). Può darsi che Origene risulti qui vittima di quelle altre sue opinioni erronee: il suo preciso punto di vista, quindi, riguardo alle tuniche di pelle resta argomento di studio: cf. A. Guillaumont, op. cit., p. 109, nota 131 e L. Thunberg, Microcosm and Mediator, p. 159.

(9) Epifanio di Cipro, Panarion, 64, 18, PG 41, 1097D. Cf. Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, Sulla santa Pasqua, PG 36, 632; Gregorio di Nissa, L'uo­mo, 29, PG 44, 233D; si veda anche sopra, nota 21.

(10) Metodio di Olimpo, Aglaofonte o Sulla Risurrezione, 1, 38 (BEPES 18, p. 129).

(11) Gregorio di Nissa, La Verginità , PG 46, 12, 373C .

(12) Gregorio di Nissa, La Verginità , PG 46,12, 376A; cf. K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenerazione [in greco], Atene 1973, p. 61.

(13) Gregorio di Nissa, Catechesi, 8, PG 45,33CD [trad. M. Naldini].

(14) Cf. Atanasio il Grande, Sulla passione e la croce del Signore, PG 28, 221A; sull'autenticità di questa omelia, cf. J. Quasten, Patrology, voi. 3, Utrecht 1960, p. 50; Gregorio Nazianzeno, Omelia 38, 12, PG 36, 324CD; Nilo, Lettera a Sosandro, 1, 241, PG 79, 172A; Gregorio Palamas, Omelia 31, PG 151,388C.

(15) ... che anche allora era «il Pane disceso dal cielo per dare vita al mondo». Gregorio di Nissa, Omelia sul Cantico dei Cantici, 12, PG 44, 102ID: «E una volta che la morte è stata unita alla natura umana, la condizione morta­le percorse anche tutte le generazioni degli esseri che successivamente nacque­ro. Ecco perché ci accolse una vita che è morte: la vita stessa di noi, se così si può dire, era morte».

(16) Ibid. L'intercalazione di Massimo il Confessore, che leggiamo nel testo qui presentato, sorprende per la diversa concezione del tempo che la stessa pre­suppone: essa quindi assume un significato particolare nei confronti dell'argo­mento che trattiamo in questa prima parte del nostro studio. Il testo completo è come segue: «Cibo di quella vita beata è il pane disceso dal cielo per dare lavita al mondo; e, come il Lògos verace dice di se stesso nei Vangeli, per aver il primo uomo rinunciato di nutrirsene, egli venne a perdere la vita divina dando origine a una vita di morte»: Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Gregorio il Teologo , PG91, l157A.

(17) Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego­rio il Teologo, PG 91,1156C-1157A.

(18) Op.cit., 1157C .

(19) Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi, Omelia 1, 4, PG 61, 387. Lo stesso brano si può leggere anche nelle Omelie sulla Genesi, Om. 18, PG 53, 150, e, anche qui, in stretta relazione con la condizione di morte e con le tuniche di pelle: «Poiché, per via della trasgressione, il progeni­tore divenne responsabile del castigo della morte..., egli (Dio) fece loro delle tuniche di pelle, insegnandoci ad evitare la vita liquida e fluida».

(20) Gregorio di Nissa, Omelie sui Salmi, 12, PG 44,556B.

(21) Gregorio di Nissa, L'anima e la "Risurrezione, PG 46, 148C-149A.

(22) Gregorio di Nissa, L'uomo, 18, PG 44,192BC.

(23) Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, PG 46, 524D.

(24) Gregorio di Nissa, L'uomo, 18 (PG 44, 192B): «Le protezioni, infatti, di cui la vita irrazionale è munita per la propria conservazione, passate nella vi­ta umana, diventano passioni» (trad. B. Salmona).

(25) Gregorio di Nissa, La preghiera, 5, PG 44,1184B.

(26) Ibid .

(27) Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, PG 46,524D.

(28) Giovanni Crisostomo, spiegando il brano paolino «quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio» {Rm 8, 8), scrive: «Anche qui, la parola carne non si riferisce al corpo, né alla sostanza del corpo, ma alla vita carnale e mondana, piena di dissolutezza e sregolatezza, che rende l'uomo tut­to carne»: Omelie sulla Lettera aiRomani, Omelia 13, 7 (PG 60, 517).

(29) Ibid.,PG46,532C.

(30) 1 Cor 2, 14; 3, 3; Ef4, 22; Rm 8, 8. Cf. Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, Omelia 13, 7 (PG 60, 517), ove egli spiega il brano paolino Rm 8, 8: «Nella misura in cui, coloro che possiedono ali spirituali, ela­borano un corpo spirituale, così pure, coloro che trascurano quest'ultimo e si mettono al servizio del ventre e dei piaceri, rendono carne anche la loro anima, senza alterarne l'essenza, ma annullandone la nobiltà». Gregorio di Nissa, L'anima e la Risurrezione , PG 46, 108A. Queste espressioni, e altre consimili, inducono quasi la totalità degli studiosi di Gre­gorio Nisseno a collegare, se non proprio a identificare, le tuniche di pelle con il corpo umano posteriore alla caduta; però si dimentica che, con l'espressione «tuniche di pelle», il Nisseno si riferisce all'intero abito psicosomatico dell'uo­mo. Cf. ad es. G.B. Ladner, The Philosophical Anthropology of Saint Gregory of Nyssa, p. 88: «Le tuniche di pelle sono una ben precisa qualità della nostra natura corporea posteriore alla caduta, una idiosincrasia corporea, molto di­versa da quella dell'uomo perfetto della prima creazione». Questa tesi, che esprime chiaramente la dimensione corporea delle tuniche di pelle, disconosce la loro dimensione psichica.

(31) Gregorio di Nissa, L'anima e la Risurrezione , PG 46, 108A [trad. S. Lillà]. Cf. Omelia per i defunti, PG 46, 532C ; Omelia per la morte di Melezio, PG 46, 861B. Cf. K. Skouteris, Conseguenze della caduta e bagno di rigenera­zione, p. 67.

(32) lbid. Gregorio di Nissa, La vita di Mosè, PG 44, 388D. Questo testo invita «chi s'incammina versa il sacerdozio» a «rendere sottile, attraverso una vita pura, ogni atto del quotidiano vivere» e a «domare questa natura corporea» (vale a dire la natura umana nel suo insieme, che è diventata corporea: il testo, infatti, non dice «il corpo»). Analoga è la sensazione che, nei confronti della rimodellazione dell'uomo, crea l'innografia della nostra Chiesa, specie quella relativa ai martiri e ai santi: si veda ad es. L'Inno a sant'Eufemia (11 luglio).

(33) Ibid. Gregorio di Nissa, Omelia sul Cantico dei Cantici, 11, PG 44, 1005A. Qui Gregorio descrive come la Sposa del Cantico, una volta spogliatasi di «quella tunica di pelle di cui si era rivestita dopo il peccato», indossò la «tunica dell'uomo creato a immagine di Dio, nella santità e nella giustizia». Questa nuova tunica, spiega san Gregorio, è la «tunica del Signore, luminosa come il sole... che egli mostrò durante la Trasfigurazione sulla montagna» [trad. C. Moreschini]. Questo testo è stato molto studiato: cf. K. Skouteris, op. cit., pp. 34.64. Gli studiosi attribuiscono l'espressione «tunica del Signore, luminosa come il sole» al corpo di Cristo, mentre sarebbe più giusto intenderla in riferimento all'increata gloria della Divinità, che illuminò interiormente il Signore. Ciò si desume dall'innografia della festività della Trasfigurazione: cf. Ode otta­va: Cristo «si riempì di gloria e di luce». Si è altresì discusso sulla dipendenza del termine «hélioeidés» (luminoso come il sole) dal corrispettivo termine di Piatone, che è usato anche da Piotino: il Nisseno conosce certamente le opere di Piatone e ne fa uso nelle sue opere, ma qui è meglio supporre che egli abbia in mente la Trasfigurazione del Signore come è narrata nel Vangelo.

(34) Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei Cantici, 11, PG 44, 1004D-1005A.

(35) Ibid.

(36) Gregorio di Nissa, La verginità, 13, PG 376B: «uscire dai rivestimenti della carne togliendoci le tuniche di pelle, vale a dire i pensieri carnali».

(37) È il termine che solitamente definisce, nell'innografia, l'abito dell'uo­mo anteriormente alla caduta: «Mi rivestisti di un abito divinamente tessuto, o Salvatore» (Tropario primo, Ode sesta della Domenica della Tyrofagia). Cf. Romano il Melode, Kontakion per la festa dell'Epifania, Stanza seconda; cf. an­che in questo stesso libro il capitolo concernente il Grande Canone (pp. 175-212). Per quanto riguarda il pensiero di san Gregorio di Nissa circa la condizione del progenitore anteriormente alla caduta, cf. J. Gaith, La conception de la liberti chez Grégoire de Nysse, Paris 1953, pp. 52s.

(38) Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, Om. 15, 4, PG 53, 123 e Om. 16, 5, PG 53, 131; cf. E. Peterson, Pour une théologie du vètement, Lyon 1944, pp. 8-9, dove si possono trovare ulteriori rinvii alle opere di Ireneo, Am-brogio e Agostino.

( 39) Gregorio di Nissa, Omelia per i defunti, PG 46,521D.

(40) Gregorio Nazianzeno, Omelia 45, la santa Pasqua, 8, PG 36, 632C .

(41) Massimo il Confessore, Su vari luoghi difficili dei santi Dionigi e Grego­rio il Teologo, PG 91,1353AB.

(42) Gregorio di Nissa, Omelie sui Salmi, 2, 6, PG 44, 508BC. L'espressione «(l'uomo) si mescolò con il fango, si autoproiettò verso il serpente» la inseriamo nel discorso traendola da un'altra opera di Gregorio: cf. La preghiera, 5, PG44,1184C.

 

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